Il turismo del benessere è potenzialmente per tutti, perchè in realtà tutti vogliamo stare bene.
Tuttavia, come vedremo in questo articolo, sono molto i fattori che concorrono a creare un’esperienza rigenerativa, vitale, trasformativa, ma, molto spesso purtroppo, non vi è una proposta adatta veramente a tutti e, soprattutto, manca una proposta inclusiva.
Il wellness tourism è rappresentato nel globo da quelle vacanze (territori e strutture ricettive) che ci permettono di mantenere e migliorare una condizione di equilibrio, di armonia, di benessere che (è innegabile) incidono sul quadro generale della nostra salute.

Facile a dirsi ma concretamente, il benessere in vacanza molto spesso va conquistato grazie ad un impegno reciproco.
La difficoltà nel co-creare questa conquista sta anche nel fatto che non siamo tutti uguali. Ognuno di noi – ammesso che abbia raggiunto un certo grado di consapevolezza – durante quella tanto attesa vacanza cercherà di risvegliare la (o le) parte/i in sofferenza: qualcuno ha bisogno di rallentare, qualcun altro di fare più movimento, di stare a contatto con la natura, conoscere altre persone, imparare qualcosa di nuovo etc…
Molte persone vivono anche particolari complessità dovute ad una disabilità personale, qualcuno vive la complessità di accompagnare in vacanza la persona con disabilità.

Eppure di disabilità e benessere se ne parla poco, quasi come se il benessere fosse riservato alle persone dotate di tutte le “abilità” , mentre al mondo esistono molte altre persone “diversamente abili” sul piano motorio, cognitivo, percettivo. Attenzione a non considerare la diversità esclusivamente come un limite invalidante. Sono diverse le storie di chi, con disabilità abilità, ha aumentano altre abilità, di chi ha imparato a vivere veramente proprio grazie alla sua differenza.
Il turismo del benessere, più di atri turismi è chiamato ad aprire l’esperienza e a diventare “accessibile” , a mostrare la sua eccellenza anche nell’inclusività. Questo significa che non è sufficiente la rimozione di barriere architettoniche, che è semplicemente la base.
Si tratta invece di garantire che tutte le persone, indipendentemente dalle loro capacità fisiche, sensoriali o cognitive, possano godere di un’esperienza turistica completa e appagante. Questa la prossima sfida.


Peraltro, dalle più recenti ricerche emerge che il nuovo profilo del viaggiatore con disabilità è attivo, consapevole e orientato all’esperienza e il turismo rappresenta una componente essenziale della qualità della loro vita.
Le motivazioni principali legate al viaggio sono veramente importanti:
primo fra tutti la ricerca di benessere mentale e fisico,
segue l’autostima e dell’indipendenza personale
e la prevenzione dell’isolamento sociale.
Se non è il cuore a desiderare di creare un’accoglienza inclusiva forse l’opportunità può aiutare. Ecco alcuni numeri.
Secondo una stima prudenziale, basata sui dati Eurostat, in Europa si contano circa 101 milioni di persone con disabilità, di cui 65,2 milioni con una concreta possibilità di spesa. Se a queste si aggiungono amici e familiari che viaggiano insieme, il bacino potenziale sale a 231,5 milioni di utenti, generando un indotto complessivo di oltre 143 miliardi di euro.
Anche in Italia i numeri sono rilevanti: nel Paese si registrano circa 12,4 milioni di persone con disabilità, di cui 8 milioni con una reale capacità economica di viaggiare. Considerando i nuclei familiari e gli accompagnatori, il totale dei potenziali turisti accessibili si attesta a 22,7 milioni. Questo si traduce in un mercato che potrebbe superare i 27 miliardi di euro, aprendo prospettive rilevanti per chi sappia offrire strutture e servizi adeguati.
Il 2025 potrebbe essere un anno di accelerazione su questo tema per alcuni motivi:
Pressione normativa e istituzionale: sempre più paesi stanno adottando standard minimi di accessibilità per il settore turistico e culturale e crescono i fondi pubblici disponibili per lo sviluppo
Ruolo dei contenuti digitali e degli influencer: creator e viaggiatori con disabilità stanno generando visibilità, creando comunità e spingendo le strutture a migliorare l’accessibilità.
Consapevolezza dei brand: i grandi gruppi dell’hospitality iniziano a integrare l’accessibilità nei piani ESG e nelle politiche di brand reputation.
Personalmente credo che questi elementi potrebbero stimolare il superamento di alcune criticità diffuse
- la presenza di barriere architettoniche ancora presenti
- frequenti problemi nell’utilizzo dei trasporti pubblici
- informazioni insufficienti o non accessibili online o difficilmente consultabili (non chiari)
- la scarsa formazione del personale turistico
- una scarsa attenzione all’esperienza (di benessere) nel suo complesso.
- Passaggio culturale tardivo
Insomma c’è da costruire un mondo ideale, in realtà per tutti, ma come tutto quello che fa bene, prima o poi, ci credo, verrà a alla luce.