L’avvento dell’intelligenza artificiale generativa sta rivoluzionando il modo in cui lavoriamo e creiamo. Se da un lato promette di aumentare la produttività e di risolvere problemi complessi, dall’altro solleva preoccupazioni significative riguardo all’impatto sulla creatività umana e sul mercato del lavoro. In questo articolo condivido alcune riflessioni portate nel mio intervento al Bioetica Festival 2024.
Si stima che l’IA generativa potrebbe aggiungere fino a 20 trilioni di dollari al PIL globale entro il 2030 e far risparmiare 300 miliardi di ore di lavoro all’anno.
Se ad alcuni farà risparmiare tempo, ad altri potrebbe far perdere il posto di lavoro – una stima del World Economic Forum parla di 85 milioni di posti di lavoro sostituiti da AI a livello globale entro il 2025- ad altri ancora potrebbe impoverire la propria intelligenza creativa ed emotiva, con il rischio di un’accelerazione dell’invecchiamento del cervello e riduzione del benessere mentale.
Nel mondo del lavoro già si segnalano ansia e stress fra alcune fasce di lavoratori e disorientamento fra i giovani che cercano di costruire la loro professionalità.
Invece cosa cerca il consumatore? Quanti hanno voglia di interagire con l’intelligenza artificiale? In alcuni settori viene preferita perché ritenuta più affidabile in altri invece non è apprezzata perché ci priva del rapporto umano. Ma ci sono differenti percezioni!
Rimango perplessa quando leggo che anche una piccola quantità – il 14% dei consumatori – ha affermato di preferire interagire con l’intelligenza artificiale perché ritiene che possa essere più intelligente emotivamente degli esseri umani. ma poi trovo conferma per altre vie quando apprendo che esistono diverse App come Replika che stanno ridefinendo la compagnia, consentendo agli utenti di creare amici virtuali che siano sempre lì ad ascoltare.
Si stima inoltre che l’intelligenza artificiale potrebbe facilitare l’accesso all’istruzione. App come Hello History, ad esempio, consentono agli studenti di impegnarsi in dibattiti filosofici con Aristotele.
I campi di applicazione della IA generativa sono infiniti. Quello che mi preme trattare è l’uso che viene fatto quotidianamente da imprese e professionisti per promuovere la loro immagine e prodotto.
Il valore della creatività
Lavoratori autonomi, liberi professionisti, imprese hanno già da diversi anni accettato di interagire attraverso il web, come luogo virtuale imprescindibile di rapporti commerciali. Hanno aderito alle regole sempre più sfidanti dei social e del web marketing (algoritmi, seo, indicizzazione etc.), si sono tuffati nel mare dell’iper informazione e hanno capito a loro spese che ahimè l’attenzione delle persone è sempre più ridotta. Il passo successivo sarà farsi sostituire dall’intelligenza artificiale nella creazione dei loro contenuti e nelle relazioni e nella strategia di comunicazione??
Nelle mie consulenze e formazioni in branding punto sulla creazione di una personalità forte, sull’autorevolezza, l’ideazione e sulla creatività che ci possono rendere unici. Questo ci chiede di metterci in gioco, di conoscerci meglio e di potenziare il nostro cervello, la nostra mente creativa.
Possiamo certamente avvalerci certamente degli strumenti tecnologici, ma farsi sostituire da essi è rischioso. Tuttavia sembra che la direzione sia un’altra.
Da alcuni mesi ha fatto ingresso a gamba tesa l’intelligenza artificiale come servizio di content creator, social manager, video maker (etc).Il messaggio promozionale che ti pungola nel web è il seguente: per produrre molti contenuti di qualità, video, foto, story necessari a cercare il tuo pubblico, stai rinunciando al tempo privato e professionale . Promuovere la tua attività oggi attività non è umanamente sostenibile, fallo fare ad una macchina. Recupera il tuo tempo.
Fino a che punto il bisogno di risparmiare del tempo ed essere competitivi deve impoverire l’intelligenza creativa ed emotiva degli esseri umani? E’ necessario fare attenzione a cosa è importante delegare e cosa conservare nelle nostre funzioni.
Peraltro, riflettendoci, non abbiamo forse creato noi stessi questo meccanismo competitivo insostenibile, aspettative elevate, modelli estetici sofisticati che attirino l’attenzione, obiettivi difficilmente raggiungibili? Abbiamo creato il problema poi la sua stessa soluzione la delega a strumenti di intelligenza artificiale. L’aspetto peggiore è che questo sistema consentirebbe – già accade- anche a chi non si è mai veramente dedicato a creazione di contenuti, di autorevolezza, e abilità comunicative l’ingresso in un mercato senza mettersi in gioco, ma semplicemente facendosi sostituire.
E se invece lo evitassimo il problema con una maggiore consapevolezza? Dove è finita l’onesta intellettuale?
Se aderiamo a questo processo ecco cosa succede:
- Accettiamo la frenesia e schizofrenia comunicativa.
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Rinunciamo alla creatività e a quella di collaboratori “umani”.
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Diffondiamo uno stato di competizione ansiosa.
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Ci illudiamo di disporre di maggior tempo.
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Facciamo concorrenza non “leale”.
Le principali piattaforme social come Instagram non hanno un obbligo esplicito e universalmente applicato di dichiarare l’utilizzo dell’intelligenza artificiale nella creazione di contenuti.
Tuttavia diverse stanno sviluppando linee guida etiche sull’utilizzo dell’IA, incoraggiando la trasparenza e l’onestà nei confronti degli utenti, ad esempio Instagram ti chiede di dichiarare se stai pubblicando un contenuto con intelligenza artificiale. Ma non è obbligatorio. Ma chi lo dichiara veramente?
Abbiamo passato gli anni 90 a cercare di recuperare i concetti di Intelligenza emotiva e relazionale per vivere e comunicare meglio, e non ci siamo ancora riusciti, siamo sicuri che farci sostituire da una macchina nelle relazioni e nella comunicazione sia una mossa “intelligente”? Il rischio è di farsi prendere la mano e di abbassare gli standard di creatività personale.
La giusta via come sempre sta nel mezzo e nella capacità di utilizzare lo sviluppo tecnologico con onestà non solo verso gli altri ma anche verso sé stessi e di rimettere al centro il benessere della persona che è sempre multifattoriale. Un professionista per vivere bene non ha solo bisogno di tempo, ma di equilibrare tutte le dimensioni del benessere.
Voglio ricordare che il benessere si alimenta in cinque principali dimensioni: fisica, mentale, relazionale, ambiatale e spirituale. Quelle che a parer mio sono prevalentemente minacciate, se accetteremo questo impoverimento creativo e ridurremo la relazione diretta con il cliente, saranno quella mentale/celebrale e quella relazionale. Questo avrà certamente un impatto sociale e sulla salute, non escludo che nei prossimi anni parlando di longevità ci occuperemo soprattutto della salvaguardia delle nostre funzioni mentali.
Cosa ne pensi?